Nel mondo occidentale i capi di stato al momento del loro insediamento giurano sulla carta costituzionale o sulla Bibbia, secondo le tradizioni della nazione. In realtà o l’uno o l’altro testo, quindi laico o religioso, rappresentano il compendio della civiltà del paese. Donald Trump, quando il 20 gennaio si è insediato come 47esimo presidente degli Stati Uniti, dopo essere stato già nel 2016 il 45esimo presidente, ha giurato sulla Bibbia, anzi ha giurato su due volumi di questo testo, il primo e più antico era quello su cui ebbe a giurare pure Abramo Lincoln, in occasione della sua nomina, e l’altro meno datato era la Bibbia ricevuta da Trump, in dono dalla madre all’età di nove anni. Gli osservatori più attenti non hanno mancato di rilevare, che nel corso del giuramento, il Presidente, mentre pronunciava la formula di rito e teneva la mano destra alzata, non ha poggiato come di prassi l’altra mano sul testo sacro. Ma non è stata questa lieve violazione del protocollo ad impensierire i suoi non sostenitori, giacchè lo erano abbastanza di già per il programma politico, riassunto dallo stesso Presidente eletto in venti lapidari punti. Una vera matrice politica caratterizzata, in primo luogo dalla volontà di sigillare i confini ai migranti e realizzare la più grande deportazione di clandestini della storia dell’America, oltre ad una politica ecologica, sanitaria e di relazione con il mondo LGBT certamente non troppo rassicurante per coloro che tali argomenti hanno a cuore. Una sola voce si è levata nelle stanze dei fastosi cerimoniali, per dare rilievo al dissenso, e si è fatta sentire nel corso della solenne celebrazione religiosa che ha completato il rituale dell’insediamento presidenziale. L’officiante Mariann Edgar Budde, vescova e capo della diocesi episcopale di Washington si è rivolta direttamente al neopresidente, con queste parole: “Lasciatemi fare un ultimo appello signor Presidente. Milioni di persone hanno riposto la loro fiducia in voi e, come avete detto ieri alla nazione, avete sentito la mano provvidenziale di un Dio amorevole. Nel nome del nostro Dio, vi chiedo di avere pietà delle persone nel nostro Paese che ora sono spaventate. Ci sono bambini gay, lesbiche e transgender in famiglie democratiche, repubblicane e indipendenti, alcuni dei quali temono per la propria vita ……“ ed ha concluso, dopo una accorata panoramica sui ceti sociali più umili, con queste parole: “ Il nostro Dio ci insegna che dobbiamo essere misericordiosi con lo straniero, perché un tempo eravamo tutti stranieri in questa terra”.
Trump, che certamente non ha dimenticato che i suoi progenitori giunsero sul suolo americano, dalla Germania e della Scozia, per cercare quella stessa fortuna economica, che cercano i migranti, e che i suoi capostipiti hanno trovato, ha risposto con una mimica facciale, che tanto ricorda chi, trovandosi sotto la doccia, comprende, ad un tratto, che l’acqua calda è terminata.
Quella Bibbia così importante per il Popolo statunitense, su cui dal primo all’ultimo presidente degli Stati Uniti hanno giurato, assumendo la responsabilità del buon e legittimo governo, ha uno sguardo amorevole e protettivo nei confronti di tutti gli uomini che si trovano in difficolta e disagio, e tra questi si enumerano anche gli stranieri, per i quali viene chiesto un trattamento giusto, umano e non sopraffattivo “….. poichè (anche voi) siete stati forestieri nella terra d’Egitto “ (Lev. 19,34). Nella Bibbia è tanto forte e ricorrente sia l’idea del popolo di Israele che Dio trasse dalla schiavitù del faraone, unitamente agli umili e agli emarginati che lo hanno seguito, per divenire un unico popolo eletto (Es. 3,8) che dell’uomo, perenne ospite sulla Terra, che appartiene solo all’Eterno (Sal. 24,1).
Giuseppe Sciacca